Né lupo né bambino

di Maria B. Conterno   

Uno slogan pubblicitario degli anni ’70 relativo alla figura femminile recitava: “Né strega né Madonna, solo donna”, volendo sottolineare la presenza di modelli sociali stereotipati nel substrato culturale dell’epoca.

Se, parlando di cani, si dovesse lanciare uno slogan in favore della definizione di un’immagine del cane il più possibile vicina alla sua autentica natura, potrebbe suonare così: “Né lupo né cane, solo amico”.
 

Questa almeno è la proposta di Á. Miklósi (1), etologo ungherese, il quale suggerisce di usare, per la definizione di un nuovo modello comportamentale del cane, il concetto di amicizia, onde evitare di riferirsi ad analogie scientificamente poco fondate.

I due modelli opposti cui spesso si fa riferimento sono l’immagine del cane visto da una parte come un lupo e, dall’altra, come un bambino umano.

Le obiezioni avanzate da Miklósi ruotano attorno alla storia evolutiva del cane che appare confusa in entrambi i modelli, in cui non si prende in considerazione come nella relazione uomo-cane esistano innumerevoli aspetti e variabili.

I più recenti studi scientifici hanno permesso di accertare che il cane domestico, il pet che vive nella famiglia umana, si è evoluto - dal lupo grigio - in stretto contatto con l’uomo.
 

Il processo di domesticazione avvenuto nella nicchia antropogenica qualche decina di migliaia di anni fa (la data è ancora incerta, potrebbe essere da 32.000 a 16.000 anni fa) ha favorito l’ambientamento in tale contesto umano, influenzando la capacità dei cani di stabilire uno stretto attaccamento con gli uomini e di sviluppare complesse interazioni di comunicazione e cooperazione. Proprio a causa di questa sua dimensione così “umana”, spesso il cane, da parte dei ricercatori e anche delle persone comuni, è esposto al rischio di antropomorfismo, i cui due aspetti estremi sono appunto il lupomorfismo e il babymorfismo.
 

Da un lato – lupomorfismo – si sostiene che la domesticazione abbia modificato nel cane solo le caratteristiche superficiali del comportamento del lupo e quindi il rapporto con l’uomo viene inteso in senso estremamente gerarchico come avverrebbe in un branco di lupi.

Dall’altro lato – babymorfismo – si sottolinea come, con la domesticazione, siano avvenuti cambiamenti sostanziali nel comportamento sociale del cane, tanto che ora vivrebbe in modo simile a un bambino di uno o due anni e con le medesime facoltà mentali.
 

La ricerca scientifica ha però dimostrato che né i lupi si comportano come i cani, né i cani, al di fuori dell’ambiente umano, si comportano come lupi, le cui caratteristiche sono tra l’altro molto diverse dallo standard comunemente conosciuto.
Grazie alle osservazioni compiute sul campo, il modello sociale di un branco di lupi non s’intende più basato su una gerarchia lineare verticale, ma sostanzialmente come una grande famiglia con ruoli incentrati sui legami di parentela, per cui ad esempio non si parla più di maschio e femmina alfa, ma di coppia leader o riproduttrice.
 

Se poi è vero che, soprattutto nelle società occidentali, alcuni cani hanno la funzione di sostituire un bambino umano, molti altri svolgono attività lavorative importanti per il loro nucleo familiare e sociale. Si pensi ai cani da pastore o ai cani utilizzati dalle forze dell’ordine o in protezione civile.

I cani, afferma Miklósi, presentano un’ampia gamma di modelli di comportamenti sociali influenzati dalla loro genetica e quindi ne consegue che, sulla base della selezione a cui sono stati sottoposti e del patrimonio genetico che hanno acquisito, essi si comportano in modo diverso in contesti diversi. L’eterno dilemma/dibattito “natura vs cultura”, che spesso influenza ancora la scelta e la gestione di un cucciolo, appare ampiamente superato e obsoleto, non trovando riscontro nell’effettiva realtà canina.
 

Non sembra quindi corretto utilizzare genericamente né un modello né l’altro, ma piuttosto considerare l’interazione tra uomo e cane in termini di reti sociali, un approccio che comprenderebbe la vasta gamma di differenti schemi di comportamenti sociali.

Tra questi il più affascinante è sicuramente l’amicizia, una relazione che, “pur non escludendo l’asimmetria del rapporto, di dominanza o genitorialità, include la possibilità di condurre una vita indipendente ed essere un partner collaborativo alla pari”.
 

E se non è certo una novità che il cane sia da sempre il miglior amico dell’uomo, piacerebbe vedere che i cani nell’immaginario collettivo non siano più vittime di modelli stereotipati e non siano più costretti ad indossare né i panni di un lupo né quelli di un bambino, perché finalmente sono riusciti a ritagliarsi un posto tutto per loro nell’ambito di quella società umana in cui, nonostante tutto, si trovano da sempre perfettamente a loro agio e in cui meriterebbero di essere non solo definiti amici ma soprattutto essere trattati come tali.

1. Ádám Miklósi, Dog Behaviour, Evolution, and Cognition, Second edition, Oxford University Press 2015.